Sono stato invitato a un tavolo di discussione alla fiera del libro per bambini (Children’s Book Fair) di Bologna. La fiera era stracolma di persone e mi sentii come al mercato notturno di Jayapura, quando capii di essere l’unico bianco in circolazione. Alla fiera ero quasi l’unico maschio. C’erano solo donne. Allegre, entusiaste, con grande voglia di interagire. Nessun bambino (anche se la fiera è per i libri dedicati a loro) ma questo è comprensibile, si parlava di strategie didattiche, editoriali, comunicative e artistiche.

Non c’era un sovrapprezzo per i maschi, come si faceva un tempo nelle balere, dove le femmine entravano gratis per fare da esca a maschi paganti. La mia spiegazione è che ai maschi non frega quasi niente dei bambini. Una tragedia, perché i maschi sono meno protettivi e, se ne hanno voglia, propongono giochi apparentemente pericolosi che le femmine-madri trovano disdicevoli. Nelle favole l’avventura comincia solo se la madre è assente, fateci caso. I bambini si divertono molto con me, a fare giochi pericolosi. Tornano con le ginocchia sanguinanti e ne vanno fieri, comparano le ferite. Oh, non gioco coi bambini perché penso sia giusto, lo faccio perché mi diverto.

Ma veniamo alla fiera. Dobbiamo parlare di libri che stimolino l’interesse dei bambini verso la sostenibilità. Il tavolo è promosso dalle Nazioni Unite che, da tempo, hanno una lista di 17 obiettivi di sostenibilità. Come sensibilizzare i bambini? Questo era l’argomento. Ho sentito parlare di meraviglia: dobbiamo emozionarli e stimolare la loro meraviglia; è stata evocata la frase: non puoi proteggere ciò che non ami. Sarei anche d’accordo, anzi… lo sono, ma il primo giro di tavolo mi stimola a dire il contrario di quel che ho sentito (mi capita spesso, e mi rendo odioso, lo so). Modifico la frase e dico: non puoi proteggere ciò che non conosci.

Poi faccio un esperimento con il pubblico, numerosissimo. Chi sa dirmi quali sono gli animali e le piante più importanti nel determinare il funzionamento degli ecosistemi planetari? Pensateci. Poi do la risposta: i copepodi e le diatomee. Chi lo sapeva? Alzano la mano in tre. Va benissimo emozionare i bambini con storie su panda, delfini, coniglietti e gattini, ma dobbiamo passare dall’emozione alla consapevolezza, questa è la sfida.

La sostenibilità si misura con l’integrità della biodiversità e degli ecosistemi. Ma se non sappiamo quali siano le specie più importanti, come possiamo raggiungere questo obiettivo? I bambini hanno un’innata predisposizione positiva verso la natura, la biofilia. Portateli in un bosco, su una spiaggia, dovunque, e vi porteranno cose che trovano, chiedendo cosa siano e, se glielo dite, se lo ricordano. Sono curiosi. A scuola questa predisposizione non viene coltivata. Si propongono solo astrazioni e non si insegna ad osservare il mondo circostante: i bambini non conoscono gli alberi che incontrano sulla strada da casa a scuola.

Non c’è bisogno di stimolare la loro curiosità: è innata. Va solo coltivata. E invece la distruggiamo, limitandoci a sollecitare emozioni, ma fuori dai percorsi scolastici. Le emozioni dei bambini devono diventare consapevolezza quando i bambini crescono. Faccio qualche altro esempio, tipo: da dove viene l’acqua che esce dai rubinetti di casa? Qual è l’alimento più importante per la nostra specie, senza il quale noi non saremmo qui? L’acqua è quella dell’Atlantico, che arriva a noi attraverso il ciclo dell’acqua, e l’alimento più importante è il latte. Provate a dare bistecche a un neonato. Senza il latte i bambini non crescono, così come i pesci non crescono senza i copepodi. Risposte ovvie, a cui pochi arrivano.

Le informazioni (e anche le emozioni) sono puntini, diventano conoscenza quando si collegano i puntini. Invece continuiamo a fornire emozioni e nozioni che non diventano conoscenza e consapevolezza. Bastano cinque minuti per spiegare perché copepodi e diatomee sono cruciali per il funzionamento dei sistemi planetari, l’ho spiegato qui, con un disegnino e un piccolo video.

Finita la presentazione del tavolo sono stato piacevolmente assalito dalle donne presenti in platea, desiderose di saperne di più. Una mi mostra il suo libro, dicendomi che ne farà una nuova versione in base a quello che ho raccontato. Nessuna si è offesa, anche se un pochino le ho prese in giro: non è colpa vostra, vi disegnano così. I maschietti si sarebbero offesi.

La mia predisposizione verso i bambini si spiega in modo semplice. Da bambino, come tutti i bambini, amavo conoscere il mondo animale. A scuola quello che mi piaceva non c’era e non andavo bene: sempre rimandato a partire dalla prima media, bocciato due volte al liceo. Volevano cambiarmi e non ci sono riusciti. Arrivato all’università ho ritrovato quel che mi piaceva, e sono diventanto uno zoologo-ecologo, continuando a fare, da adulto, quel che mi piaceva da bambino.

Alcuni, nei commenti ai miei articoli, mi deridono chiamandomi “zoologo” in modo dispregiativo: che ne sa lo zoologo? Ecco, loro sono stati rovinati, hanno dimenticato i loro primi entusiasmi e non li hanno maturati in consapevolezza. Ora dobbiamo realizzare la transizione ecologica ed è necessario conoscere bene la natura (biodiversità ed ecosistemi) per realizzarla. Passare dalle emozioni alla consapevolezza è cruciale. Ma che ne sa uno zoologo di sostenibilità?

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